Cammino per la strada con le cuffie nelle orecchie e vari pensieri nella testa, la modalità casuale mi propone un paio di brani di Jack Johnson, passo davanti ai tavolini di Eataly, ancora qualche metro e arrivo all’ingresso di Palazzo Medici Riccardi.
Dopo settimane che mi ripetevo di andarci ho trovato il tempo per visitare la mostra fotografica Firenze in Guerra 1940-1944 (www.firenzeinguerra.com); una raccolta di documenti, video e immagini tratte dagli archivi Locchi e ISRT.
Ho poco meno di trent’anni e come sembrano lontani a noi quei giorni! Difficile immaginarli, impensabile viverli: «davvero la mia città è sopravvissuta a questo? Veramente queste storie sono impresse nelle nostre strade e nei nostri ponti?», questo ti ritrovi a chiederti! Che domande idiote, quanta ingenuità nei pensieri di una generazione che non ha mai visto una “guerra in casa”, che non hai mai fatto la fila per il pane né scritto dettati scolastici che osannavano la supremazia nazionale.
Per chi è fiorentino Firenze in Guerra è un pugno nello stomaco, uno schiaffo in faccia e non perché mostri le crudeltà del secondo conflitto mondiale ma perché ti racconta attimi di vita cittadina rassegnata alla presenza di un regime folle, ti mostra le storie di persone comuni che ancora ricordano il rumore degli scarponi chiodati dei tedeschi echeggiare in Piazza della Repubblica (all’epoca Piazza Vittorio Emanuele II). Ti mostra questo e ti dice «Svegliati! Che tu ci voglia credere o no questo è quello che è successo!»
Tre momenti della città – La città della guerra, dell’occupazione e della Liberazione – visti attraverso interviste, fotografie e lettere dell’epoca.
«Per me è importante quello che venne dopo la Liberazione perché scoprì un nuovo mondo. Un mondo fatto di libertà» (Salvatore Tassinari), chi era piccolo aveva vissuto da sempre con le restrizioni imposte dalla guerra e dal regime fascista, non conosceva altra realtà al di fuori di quella che aveva vissuto. La Liberazione portò “fuori” dalla città un nuovo ordine mondiale ma “dentro” una spensieratezza che molti non avevano mai conosciuto.
Tornando alla mia macchina, con la mente piena di immagini, di voci, di racconti di dolore e di vicinanza, ho sorriso. Ho sorriso perché mi sono imbattuto in questa immagine, risoluta, semplice, quasi elementare.
Proprio in quella stessa città che accolse la lucida follia di Hitler con una via de’ Benci strabordante di bandiere naziste e con il clamore di Piazza della Signoria, oggi, un disegno su un muro traccia una linea diretta tra ciò che era e ciò che viene ricordato, tra ciò che raccontavano alla nazione e ciò che rimane di allora.